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L’orbiting: la nuova frontiera dell’abbandono

“I legami umani sono stati sostituiti dalle “connessioni”: mentre tali legami richiedono impegno, “connettere” e “disconnettere” è un gioco da bambini.”

Zygmunt Bauman

In un’epoca in cui ci si innamora a suon di like e cuoricini, dove si sceglie il partner guardandolo in vetrina insieme ad altri milioni di candidati, swippando a destra o a sinistra di uno schermo in base al nostro gradimento, mettere fine alle relazioni attraverso modalità analoghe sembra essere diventata quasi l’evoluzione naturale del fenomeno.
Dopo il “ghosting”, la pratica per cui chi vuole chiudere una relazione lo fa sparendo letteralmente dalla vita dell’altra persona, spesso senza fornire alcuna spiegazione ma diventando irrintracciabile, quasi fosse un fantasma (ghost), oggi si inizia a delineare una nuova forma di abbandono: “l’orbiting”, ovvero il comportamento di chi sparisce dalla vita dell’altro, ma non del tutto. Rimane pertanto lì ad “orbitare”, vicino quanto basta per osservare voyeristicamente la vita del proprio ex, ma abbastanza distante da non essere costretto a parlarci. Ed ecco che dopo un periodo di allontanamento e silenzio, funzionale a far abbassare la temperatura emotiva legata alla fine della relazione, gli orbiter fanno capolino con dei comportamenti e dei gesti apparentemente innocui: un like, una visualizzazione di una Ig stories, una reaction sotto alla citazione famosa che avete condiviso sperando che la persona in questione la leggesse. I social network diventano quindi il campo d’azione degli “orbiter”. Ti osservano, scrutano la tua vita ma non comunicano; non si perdono un post o una storia su Instagram ma visualizzano e non rispondono ai tuoi messaggi. Guardano attraverso la serratura di una porta, sapendo di essere visti ma mantenendo comunque una distanza tale da inibire qualsiasi
forma di contatto diretto. Un modo per far sentire all’altro la propria presenza senza la costrizione di dover avere una qualsiasi forma di comunicazione reale.

Perché si comportano così?

Sono certa che molti di coloro che stanno leggendo si sono posti almeno una volta questa domanda: “perché non risponde ai miei messaggi ma continua a visualizzare le mie storie?” Le teorie più accreditate al momento sono tre (ma io personalmente ne condivido soltanto due):

  1. La prima teoria è che la persona in questione voglia esercitare su di voi una forma di potere attraverso il controllo: facendovi sentire la sua presenza attraverso l’osservazione (e quindi il controllo) di tutto ciò che postate, vi impedisce di andare avanti con l’elaborazione della rottura e di voltare pagina. Questo atteggiamento è tipico delle personalità narcisistiche: lo scopo è quello di creare confusione e insicurezza, in modo che nella mente dell’altro possa annidarsi il dubbio sui loro sentimenti. In questo modo, tali soggetti si assicurano un esito favorevole nel momento in cui decidono di tornare sui loro passi, secondo la logica del “minimo sforzo, massima resa”.
  2. La seconda teoria è legata alla paura di perdere una persona alla quale si è legati e che si considera “speciale”: questo è l’atteggiamento tipico di chi non vuole impegnarsi realmente in una relazione, ma non è capace di chiudere definitivamente i rapporti e tiene l’altro lì in un cantuccio, come fosse “un’opzione”, magari la migliore, tra le altre che deve ancora valutare. Mantiene pertanto una sorta di pseudo-contatto che gli permetterà di rifarsi vivo quando si sentirà più predisposto. Attenzione però, perché anche questa modalità comportamentale genera la stessa dinamica: confusione-dubbio-immobilità. E soprattutto, non è detto che la paura di perdere una persona spinga sempre nella direzione di un recupero del rapporto.
  3. La terza teoria (con la quale non concordo) riguarda il comportamento di chi non ha idea di cosa stia facendo, ovvero di coloro i quali non sanno che, ad esempio, guardando le Ig stories si lascia una traccia visibile. Ritengo infatti che le persone che agiscono in maniera così genuinamente inconsapevole sui social, nell’epoca moderna, siano veramente poche.

Si tratta quindi nella stragrande maggioranza dei casi di una strategia manipolatoria, che non ha nulla a che vedere con l’impegno o con il sentimento: lo scopo non è riconquistare il partner, ma manipolarlo, lasciando il classico spiraglio aperto attraverso il quale si possono osservare le vite altrui, ma dietro al quale c’è sempre un comodo e prezioso rifugio nel quale ritirarsi nel momento in cui il contatto diventa nuovamente troppo intenso.

L’impatto sugli altri

Chiaramente, tutto questo può avere degli effetti su chi si trova dall’altra parte “dello schermo” e che si sta impegnando faticosamente nell’elaborazione della fine della relazione: i like e le visualizzazioni delle storie vengono scambiati per manifestazioni di interesse o per tentativi di ricontatto. Si entra così in una condizione di stallo emotivo in cui ogni like nutre la speranza e l’attesa illusoria e dannosa del ritorno della persona amata. Presto si innesca anche un circolo vizioso che mantiene cristallizzata la situazione: chi subisce orbiting, inizia a “postare” sempre più freneticamente col doppio scopo di mostrare all’altro che si continua a vivere una vita piena, nonostante tutto, ma anche con la speranza non troppo nascosta di veder comparire “quel” nome o “quel” nickname nell’elenco delle visualizzazioni, a conferma della propria distorta quanto irreale teoria di un amore corrisposto e pronto a ripartire. Come fare allora a non rimanere incastrati in queste dinamiche? In estrema sintesi, guardando la realtà per quella che è: un like è solo un like. Dietro all’orbiting di un ex partner non si cela nessun coinvolgimento, nessuna forma di impegno. È solo l’atteggiamento irrispettoso di chi egoisticamente vuole tenervi in qualche modo ancora legati a sé; di chi non ha il coraggio di assumersi le conseguenze delle proprie scelte, le responsabilità delle proprie azioni e delle proprie parole; di chi non è in grado (o non vuole) affrontare la “scocciatura” di dirvi in faccia che la vostra storia è finita, correndo il rischio di sorbirsi anche eventuali recriminazioni per la propria parte di responsabilità.

Indecisione, controllo e manipolazione non sono sinonimi di amore e rispetto. Voltate quindi il vostro sguardo verso chi di quelle “stories” vuole esserne il protagonista insieme a voi, e non si limita a rimanerne solo uno spettatore imbucato e non pagante.

Autore:

Mi chiamo Serena Russo e sono una Psicologa-Psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale. Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nel 2004 e sono iscritta alla sezione A dell'Albo degli Psicologi della Regione Lazio con n° 14505 dal 2006. Ho conseguito la Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale presso l'Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma. Tra le altre attività di cui mi occupo, svolgo principalmente la libera professione come Psicoterapeuta individuale, di coppia e familiare. Da diverso tempo ormai, mi occupo prevalentemente di terapie con pazienti vittime di rapporti di coppia abusanti, vittime di abuso narcisistico e dipendenze affettive. Conduco gruppi di auto-aiuto sull'elaborazione del lutto, sulla gestione dell'ansia e di sostegno alla genitorialità, anche nei casi di separazione e divorzio. Collaboro con il "Gruppo Ictus Emiplegia Onlus" per il sostegno psicologico a pazienti colpiti da ictus ed anche alle loro famiglie. Realizzo corsi di formazione e di preparazione all'esame di stato per studenti laureandi e neo laureati in Psicologia in collaborazione con strutture ed enti accreditati.

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