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L’empatia nei rapporti interpersonali


“Questo è ciò che accade quando due esseri umani si abbracciano”. Pur non essendo reale, l’immagine dei due cuori che si toccano dentro ad un abbraccio è una delle più suggestive che abbia mai visto in rete! Sappiamo bene che in realtà i cuori di due persone che entrano in contatto fisico tra loro tramite un abbraccio, sono separati dalla barriera dei loro reciproci corpi, ma una vicinanza di questo tipo la si può raggiungere attraverso “l’empatia” ovvero la capacità di comprendere e sentire internamente lo stato d’animo dell’altro, sia che si tratti di sentimenti positivi sia che si tratti di sentimenti negativi.

Etimologia e definizione

Il termine empatia deriva dal greco εν (dentro)-παθος (sofferenza), letteralmente quindi “dentro la sofferenza”. Essere empatici significa quindi avere la capacità di riconoscere i sentimenti altrui, di mettersi nei loro panni e di percepirne a livello viscerale emozioni e vissuti. Un’esperienza di compartecipazione emotiva che agevola la comprensione dell’altro e la possibilità di entrare in una relazione interpersonale profonda. La capacità di comprendere aspetti profondi dell’altro rende l’empatia anche un’abilità sociale fondamentale per instaurare delle buone comunicazioni interpersonali.

L’empatia tra altruismo ed egoismo

Nel corso degli anni sono state proposte diverse teorie per spiegarne origine ed effetti: alcuni autori ne hanno evidenziato la componente emotiva insita nella capacità di accogliere e comprendere, in modo del tutto involontario, i vissuti emotivi altrui; altri ne hanno evidenziato la componente cognitiva, considerando l’empatia come la capacità di decentrarsi dal proprio punto di vista per assumere la prospettiva dell’altro. Altri autori, come ad esempio Davis nel 1994, hanno invece considerato l’empatia come il risultato di un processo multifattoriale, in cui aspetti cognitivi ed emotivi sono contemporaneamente coinvolti nel fornire una risposta empatica.

L’integrazione di tali fattori può dare origine a quattro differenti tipi di risposte empatiche, due orientate alla comprensione dell’altro e motivate dall’altruismo e due che prendono origine da una condizione di disagio personale determinato dal “sentire” i sentimenti negativi altrui: l’osservazione della sofferenza altrui genera uno stato di tensione che spinge l’osservatore ad assumere atteggiamenti volti alla riduzione e all’eliminazione del disagio personale provocato da tale tensione. L’empatico agisce pertanto spinto da una motivazione egoistica e personale, finalizzata a liberarsi del proprio stato di malessere e non alla possibilità di aiutare l’altro con cui è in relazione.

Le basi neurobiologiche dell’empatia

Le neuroscienze sostengono invece che alla base della capacità di provare empatia ci sia l’attività di una particolare classe di neuroni, chiamati “neuroni specchio”, dei neuroni pre-motori individuati per la prima volta nei primati e che si attivano in particolari aree cerebrali (area F5). Secondo la teoria neurobiologica, l’emozione provata dall’interlocutore viene esperita internamente dall’osservatore attraverso un processo di “imitazione” che è dapprima motorio e che solo in un secondo momento diventa cognitivo. Questo processo è stato definito da Vittorio Gallese “simulazione incarnata”. Per comprenderne meglio il funzionamento, pensiamo a ciò che accade quando assistiamo ad un’azione compiuta da altri: pur non compiendola direttamente, i nostri neuroni si attivano come se fossimo noi stessi i protagonisti di quell’azione. Il meccanismo di simulazione incarnata attivato a livello neuronale, permetterà di produrre nell’osservatore uno stato corporeo simile a quello osservato, che lo porterà infine a immedesimarsi in chi ha prodotto l’azione e a esperirne le stesse emozioni.

Empatia e narcisismo

La mancanza di empatia è uno degli elementi principali che caratterizzano i disturbi di personalità del cluster B, tra i quali troviamo anche il disturbo narcisistico di personalità. I narcisisti non possiedono la capacità di mettersi nei panni degli altri e non riconoscono nemmeno la possibilità che altri possano provare emozioni e sentimenti diversi dai loro. Mettono loro stessi al centro di qualunque discussione o contesto; i loro sentimenti e i loro desideri sono gli unici che riescono a vedere e a prendere in considerazione. Sono incapaci di identificarsi con i sentimenti altrui, pertanto le persone con cui entrano in relazione ed i loro sentimenti diventano funzionali esclusivamente alla realizzazione dei loro desideri e all’appagamento dei loro bisogni. Non è un caso che le vittime principali dei narcisisti siano dei soggetti empatici: la loro estrema sensibilità, la loro spiccata capacità di immedesimazione e la loro naturale tendenza a prendersi cura degli altri, rendono praticamente impossibile anche solo immaginare che al mondo possano esistere soggetti senza scrupoli, manipolatori, sadici e senza alcuna morale. L’empatico metterà se stesso e i propri sentimenti a “servizio” del narcisista, nella convinzione che solo il suo amore e la sua devozione possano sanarne il vuoto emotivo e le carenze affettive. Si troverà ben presto coinvolto in una spirale perversa e senza fine in cui verrà indotto a credere che ciò che fa per il narcisista è sempre troppo poco; aumenterà pertanto le dosi di attenzioni e sacrificio per scongiurare l’inevitabile epilogo a cui vanno incontro tutte le relazioni con un narcisista perverso: lo scarto per una vittima nuova e più fresca.

Essere empatici è sempre vantaggioso?

Come in tutte le situazioni vissute in maniera estrema, anche l’eccesso di empatia può però avere effetti negativi sul soggetto empatico e sulle relazioni interpersonali che instaura: essere eccessivamente sensibili alle alterazioni emozionali altrui, può portare a sviluppare sintomi come depressione, ansia, nervosismo ed esaurimento nervoso. Spesso gli empatici fanno fatica a dire di no agli altri, per paura di perderne l’approvazione e di esserne la causa di una probabile frustrazione, anche se questo può spesso voler dire mettere se stessi in una condizione di potenziale rischio emotivo o sociale, come accade ad esempio nel caso delle relazioni con i narcisisti.

In questo modo la capacità di regolazione dei rapporti sociali basata sull’identificazione dei sentimenti altrui cessa di essere adattiva e trasforma l’empatia stessa in una qualità egodistonica e disfunzionale.

Autore:

Mi chiamo Serena Russo e sono una Psicologa-Psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale. Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nel 2004 e sono iscritta alla sezione A dell'Albo degli Psicologi della Regione Lazio con n° 14505 dal 2006. Ho conseguito la Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale presso l'Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma. Tra le altre attività di cui mi occupo, svolgo principalmente la libera professione come Psicoterapeuta individuale, di coppia e familiare. Da diverso tempo ormai, mi occupo prevalentemente di terapie con pazienti vittime di rapporti di coppia abusanti, vittime di abuso narcisistico e dipendenze affettive. Conduco gruppi di auto-aiuto sull'elaborazione del lutto, sulla gestione dell'ansia e di sostegno alla genitorialità, anche nei casi di separazione e divorzio. Collaboro con il "Gruppo Ictus Emiplegia Onlus" per il sostegno psicologico a pazienti colpiti da ictus ed anche alle loro famiglie. Realizzo corsi di formazione e di preparazione all'esame di stato per studenti laureandi e neo laureati in Psicologia in collaborazione con strutture ed enti accreditati.

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