Pubblicato in: abuso narcisistico, Psicologia, psicoterapia

Quando il cuore pesa troppo: la dipendenza affettiva

cuore 1

Quante volte vi siete trovati a dire a voi stessi e agli altri, parlando delle vostre vicende sentimentali: “mi ritrovo sempre con i pazzi”, “se non è psicopatico non mi piace!” oppure “ovunque mi giri vedo solo narcisisti!”? Come ho già avuto modo di sottolineare in questo articolo https://psycoblog.wordpress.com/2018/02/13/narcisismo-2-0-nuova-moda-primavera-estate-2018, la società  in cui viviamo ci spinge ad assumere spesso atteggiamenti competitivi e di rivalità che possono portare le persone che ci circondano a vedere la patologia anche dove non c’è. Purtroppo, c’è da dire che in realtà il narcisismo inteso come disturbo di personalità è in continua e costante crescita, probabilmente supportato proprio dalla stessa società in cui siamo inseriti, come se la malattia in sé fosse (anche) un segno dei tempi che viviamo. Chi sono i narcisisti abbiamo imparato a capirlo attraverso la quantità infinita di articoli e post che parlano di loro, colludendo spesso con il loro senso di onnipotenza e con la loro smisurata voglia di stare in vetrina e comunque “sempre al centro della piazza”.

Ma chi sono quelle persone che vengono attratte, a volete in maniera assolutamente irresistibile, da queste figure così tossiche e negative? Cosa spinge certe persone a mantenere in piedi questo tipo di relazioni, pur essendo consapevoli (!) del dolore che queste arrecano?
Perché la vostra amica, così intelligente e brillante in altri ambiti della sua vita, non riesce a vedere che il ragazzo per il quale ha perduto la testa in maniera incontrollata, è un bieco manipolatore, incline al soddisfacimento dei suoi esclusivi piaceri, assolutamente disinteressato a quelli della partner e indifferente di fronte al dolore che le suscita? È vero: certi comportamenti dall’esterno sembrano assolutamente inspiegabili. C’è chi ha tirato in ballo spesso anche la “Sindrome di Stoccolma” (1), c’è chi parla di “dipendenza affettiva”; si tratta in ogni caso di una forma di relazione che si basa su un incontro tra intersoggettivo tra persone. Proprio per questo motivo, dobbiamo tenere bene a mente che ogni forma di relazione, anche la più tossica, nasce dall’incastro unico e irripetibile di due storie personali, di due realtà soggettive e psicologiche che sono state vissute e sperimentate con diversi livelli di consapevolezza e maturità emotiva, dando vita a due diversi background bio-psico-sociali.

Chi è il dipendente affettivo?

La dipendenza affettiva è un disturbo della sfera emotiva e relazionale che arriva ad incidere rapidamente anche la sfera cognitivo-comportamentale dell’individuo che ne soffre. Come tutte le forme di dipendenza, può manifestarsi anche in soggetti con un funzionamento fino a quel momento adeguato.

Ma chi è la persona che si cela dietro a questa patologia? In genere, si tratta di un soggetto che ha un bisogno infinito d’amore, alla costante ricerca di attenzioni e rassicurazioni e che pensa che la sua esistenza possa avere un senso soltanto se legata all’esistenza di un altro individuo, spesso un soggetto con disturbo narcisistico di personalità o con tratti narcisistici. Quest’esigenza è talmente prioritaria, che il dipendente affettivo mette al centro della propria esistenza l’oggetto d’amore, dimenticandosi di sé stesso, del proprio valore e delle proprie aspirazioni e finendo ben presto per concentrarsi unicamente sulla relazione e sull’evitamento della sua interruzione.

Perdere l’oggetto d’amore sarebbe una fonte di angoscia insopportabile, per cui le azioni messe in atto dal dipendente affettivo per mantenere in piedi una situazione tossica sono sempre più grandi e finalizzate all’esaltazione dell’ego altrui a scapito della propria immagine di sé, della propria autostima e dell’amore verso se stesso. Il dipendente affettivo è quindi colui che legittima il mantenimento della maschera sul volto del narcisista; è l’altro anello della catena, l’altra faccia della medaglia, l’altra parte della maschera… : non ci sarebbe relazione se il d.a. non accrescesse l’ego del narcisista e se il narcisista non rispondesse in qualche modo al bisogno di riconoscimento emotivo del d.a. Un circolo vizioso quindi che si alimenta ed è tenuto in vita dai reciproci bisogni di riconoscimento. Questo circolo vizioso prende il nome di “codipendenza”: il dipendente affettivo spera di trovare nutrimento affettivo nelle attenzioni sempre più misere del Narcisista, nella vana speranza che la conquista del suo amore possa sanare un vuoto ancestrale, ovvero la mancanza di riconoscimento e affetto risalente alla sua vita all’interno della famiglia d’origine. Anche se non lo ammetterà mai, anche il Narcisista ha BISOGNO del dipendente per poter esistere, per poter dare un senso alle sue false credenze su se stesso, ai suoi autoinganni, alle sue maschere… Entrambi quindi sono alla ricerca inconsapevole del soddisfacimento di un bisogno d’amore troppo spesso disatteso. Per questo motivo si trovano incastrati spesso in un legame di reciproca dipendenza dal quale entrambi, anche il Narcisista, non riescono facilmente a liberarsi…  un legame che uccide ma che per loro diventa anche una salvezza.

Piano piano tutti gli ambiti della vita del d.a. vengono intaccati da questa ossessione: si assiste ad un progressivo isolamento sociale per cui gli altri (anche individui significativi per la vita del dipendente) vengono allontanati ed evitati nel tentativo di proteggere la relazione da critiche che vengono vissute come ingiuste ed esagerate. Si assiste inoltre ad un calo del rendimento scolastico e delle performance lavorative e a delle modificazioni del sonno e del comportamento alimentare. Il dipendente affettivo vive in uno stato di ansia e agitazione perenne, condizione che può essere colmata soltanto dall’oggetto d’amore. L’oggetto d’amore diventa quindi paradossalmente la fonte della malattia ma anche il suo antidoto, una sorta di fittizia panacea dalla sofferenza che invece, in maniera

subdola e repentina, lo fa precipitare in un abisso ancora più oscuro e profondo. Molto frequenti sono infatti anche i disturbi depressivi reattivi nei d.a.

Nel tentativo di cercare di placare l’ansia, il d.a. mette in atto tutta una serie di comportamenti impulsivi che riescono a tranquillizzarlo momentaneamente ma accrescono ben presto il senso di vuoto e inadeguatezza. Se ad un messaggio non ricevono risposta, possono continuare a cercare un contatto con l’oggetto d’amore in maniera compulsiva per svariato tempo, per poi stare peggio quando il tipo di risposta che ricevono si rivela essere frustrante rispetto ai desideri sottostanti e alle aspettative connesse.

Come aiutare un dipendente affettivo?

Come in tutte le forme di dipendenza, nella fase acuta il d.a. non prenderà in considerazione il punto di vista di nessuno, nemmeno delle figure più significative della sua esistenza. Vivrà ogni tentativo di aiuto come un attacco alla relazione idealizzata da parte di chi non ha alcuna idea della portata del sentimento che sta vivendo. E nella maggior parte dei casi è vero: nessuno riesce razionalmente a capire l’incastro all’interno del quale il d.a. si è inserito e dal quale sembra quasi non voglia uscire, nonostante l’evidente tossicità e l’enorme dolore sperimentato a fronte di sempre più rari momenti di serenità. In genere è sempre il narcisista a porre fine alla relazione o perché attratto da una vittima nuova, fonte di maggiore energia per il suo ego smisurato, oppure perché le condotte del d.a. diventano troppo gravose da sostenere nonostante le gratificazioni costanti che ne riceve.  La fine di una relazione di questo tipo darà vita nel d.a. ad una crisi i cui sintomi sono paragonabili a quelli associati ad una crisi d’astinenza da sostanze, ma soltanto quando penserà di aver toccato il fondo, il d.a. chiederà aiuto e si rivolgerà ad un terapeuta.

Non sempre la terapia ha successo al suo primo tentativo perché gli autoinganni che i d.a. perpetrano nella vita di tutti i giorni con le persone significative, vengono perpetrati anche in terapia. Così si assiste spesso a sedute annullate o saltate senza preavviso, a tentativi di manipolazione della relazione terapeutica per cercare di convincere il terapeuta stesso di essere in grado di gestire la situazione autonomamente. Il risultato nefasto che si ottiene è il mantenimento dello status quo della situazione, con un aumento dei sintomi psicosomatici connessi. In alcuni casi, pur essendo riusciti a superare la fase iniziale della terapia, i d.a. utilizzeranno le energie acquisite per ricominciare la relazione con il narcisista. Ogni ricaduta sarà sempre più dolorosa. Solo quando la decisione di porre fine a questa sofferenza verrà elaborata consapevolmente, il processo terapeutico potrà portare i risultati sperati.

Uscire dal circuito perverso di una relazione tossica può quindi non essere così facile come si pensa, ma non impossibile! Non soltanto perché si è incastrati in un meccanismo di manipolazione narcisistica, ma perché anche i processi cognitivi e affettivi della vittima di abuso narcisistico svolgono un ruolo attivo nel mantenere in piedi le stesse dinamiche tossiche da cui si cerca di uscire disperatamente.

Lasciare la strada vecchia per la nuova fa spesso paura, a tutti noi. Può significare dover abbandonare le poche certezze su cui fondiamo le nostre vite, anche se palesemente dannose. Il primo passo per intraprendere un cammino decisionale diverso dal solito è il più difficile da compiere, ma è anche quello più importante perché inizia a spostare non solo il punto di vista del d.a. ma anche quello di è in relazione con lui e ne osserva il cambiamento.

(1)    Ovvero quella particolare condizione psicologica e/o affettiva sperimentata da chi è vittima di abuso fisico, verbale e psicologico. Questi soggetti iniziano a provare dei sentimenti positivi nei confronti del proprio aggressore che possono sfociare nella sottomissione e finanche nell’amore.

Autore:

Mi chiamo Serena Russo e sono una Psicologa-Psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale. Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nel 2004 e sono iscritta alla sezione A dell'Albo degli Psicologi della Regione Lazio con n° 14505 dal 2006. Ho conseguito la Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale presso l'Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma. Tra le altre attività di cui mi occupo, svolgo principalmente la libera professione come Psicoterapeuta individuale, di coppia e familiare. Da diverso tempo ormai, mi occupo prevalentemente di terapie con pazienti vittime di rapporti di coppia abusanti, vittime di abuso narcisistico e dipendenze affettive. Conduco gruppi di auto-aiuto sull'elaborazione del lutto, sulla gestione dell'ansia e di sostegno alla genitorialità, anche nei casi di separazione e divorzio. Collaboro con il "Gruppo Ictus Emiplegia Onlus" per il sostegno psicologico a pazienti colpiti da ictus ed anche alle loro famiglie. Realizzo corsi di formazione e di preparazione all'esame di stato per studenti laureandi e neo laureati in Psicologia in collaborazione con strutture ed enti accreditati.

Lascia un commento