Pubblicato in: abuso narcisistico, narcisismo, psicoterapia

Vittimizzazione Secondaria e Victim blaming: quando si è vittime due volte.

Molto spesso, quando le mie pazienti mi raccontano le loro esperienze con i loro partner tossici ed abusanti, mi dicono di avere paura di scoprire di essere di fronte a qualcuno che non sia in grado di capire la profondità del dolore che hanno sopportato, che possa arrivare a mettere in dubbio i loro atroci racconti o che, peggio ancora, possa non credere alle loro parole e banalizzare la loro storia. Storie di abusi psicologici e morali, di manipolazioni e ricatti emotivi che sono vissuti spesso solo all’interno delle mura domestiche e che troppo spesso vengo taciute per vergogna, per rassegnazione, per sfiducia nelle capacità empatiche di chi si finge cieco e sordo di fronte a queste tematiche. Molte di loro hanno deciso di smettere di cercare aiuto e protezione da chi dovrebbe difenderle ed invece finisce per determinare quel fenomeno conosciuto come “vittimizzazione secondaria”, ovvero tutte quelle conseguenze psicologiche ed emozionali relative al contatto tra la vittima di un abuso ed un sistema giudiziario impreparato e superficiale.

In situazioni come quelle accadute alle mie pazienti, chi svolge una funzione pubblica (medici, forze dell’ordine, giudici o finanche esponenti politici come è successo di recente), assume l’atteggiamento di chi non riconosce l’aggressione subìta dalla vittima come realmente accaduta, finendo per spingere quest’ultima in una spirale di colpevolizzazioni e di impotenza che la farà sentire di essere vittima due volte, dell’aggressore e di quanti cercano di banalizzare, sminuire e tacere a tutti i costi l’accaduto. Non accade di rado, infatti, che la vittima sia costretta a ripetere più volte la dolorosa narrazione della violenza subita, proprio perché chi è di fronte a lei vuole testarne credibilità e, finanche, moralità.

Frasi come: “se davvero avesse subìto violenza avrebbe denunciato prima!”; “Si, però bisogna vedere lei come era vestita!”; “Sicuramente lui si sarà sentito provocato” oppure “però è stata lei ad avergli aperto la porta di casa!”, che la vittima sente provenire da ogni dove, quasi a voler giustificare chi ha commesso gli abusi, non fanno altro che infliggerle una sofferenza ulteriore, spesso ugualmente devastante come la stessa violenza. A salire sul banco degli imputati è quindi spesso la persona sbagliata, giudicata e condannata per le sue esitazioni, per la sua paura della vendetta. Un giudizio che pesa come un macigno sul cuore della vittima e che collude con il suo essere stata convinta dal suo stesso aguzzino di meritare tutto quello che le accade. Frasi di questo tipo non mirano soltanto a sollevare dubbi sulla credibilità della vittima e sulla veridicità di quanto denunciato, ma sono assimilabili ad un vero e proprio “victim blaming”, quel fenomeno per cui viene ulteriormente svilita la vittima di un trauma psicologico e/o fisico e ne viene ritardato e/o impedito il recupero; inoltre, non tengono minimamente in considerazione la condizione in cui queste donne spesso si trovano a vivere, costrette all’inferiorità psicologica rispetto all’aggressore, impaurite dalla temibile quanto possibile reazione violenta dell’abusante, imprigionate in una relazione di potere tra chi urla e chi viene costretto al silenzio.

Ma IL SILENZIO È’ VIOLENZA! Il silenzio collude con il potere della coercizione narcisistica e manipolatoria degli aggressori e autorizza implicitamente il mantenimento dello status quo di tante famiglie spezzate dalla violenza. Per molti, purtroppo, se un danno non è visibile o se non è dimostrabile da un referto del pronto soccorso, allora non esiste. Se una persona non denuncia subito, allora si è inventata tutto, se a sanguinare è l’anima e non il corpo, allora il trauma può anche essere trascurato e oltraggiato dalla violenza del dubbio sospettoso. MA GLI ABUSI NON SONO SOLO FISICI, SONO ANCHE PSICOLOGICI! L’abuso non viene agito soltanto con l’uso della forza, ma anche attraverso le parole e gli atteggiamenti di chi dovrebbe proteggere e difendere e sceglie di rimanere nella propria ipocrita zona comfort.

Forse non tutti sanno che, di fronte ad un trauma violento, non tutte le persone hanno la forza di reagire nell’immediatezza del fatto. Può accadere che alcune persone rimangano talmente sconvolte dall’accaduto da volersene allontanare mentalmente il più presto possibile, guardandolo dal di fuori come se fosse la scena di un film. L’elaborazione di una esperienza dolorosa spesso richiede tempi molto lunghi che partono anche da un iniziale non riconoscimento del proprio dolore. È un meccanismo di difesa a tutti gli effetti, che permette alla persona interessata di non soccombere dentro la voragine emotiva che il trauma ha aperto. Quando ad aggravare la situazione arrivano frasi come quelle elencate sopra, sul meccanismo di difesa inizia ad incarnarsi anche un ingiusto e ingiustificato sentimento di indegnità da parte della vittima. Le vittime di violenze sessuali, ad esempio, vengono socialmente stigmatizzate, spesso anche dalle stesse famiglie di appartenenza, al punto da auto indurle all’isolamento e, nei casi limite, al suicidio.

Molte, troppe donne arrivano nel mio studio sconfortate, sfiduciate da un sistema giudiziario e da una realtà sociale che non le tutela realmente e che le abbandona alle incertezze delle loro vite violate. 

La soluzione più ovvia e immediata è quella di sensibilizzare chi diffonde certe informazioni, all’uso appropriato delle parole, per non contribuire ad alimentare la cultura dello stereotipo sessista tanto violento quanto subdolo. Dovrebbe essere scontato per queste vittime poter contare su un sistema di supporto, familiare e sociale, che limiti i danni conseguenti al victim blaming, che le tuteli davvero e le indirizzi verso i centri di tutela della salute mentale più idonei; che non le faccia più sentire abbandonate a loro stesse e le incoraggi a denunciare chi le offende, senza il timore di dover essere a loro volta giudicate.

Io sarò sempre dalla vostra parte, non volterò lo sguardo altrove e vi tenderò la mano per aiutarvi a rimettere insieme i frammenti del vostro cuore spezzato. 

Io non vi lascio da sole. Io urlerò insieme a voi.

Autore:

Mi chiamo Serena Russo e sono una Psicologa-Psicoterapeuta di formazione sistemico-relazionale. Mi sono laureata presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" nel 2004 e sono iscritta alla sezione A dell'Albo degli Psicologi della Regione Lazio con n° 14505 dal 2006. Ho conseguito la Specializzazione in Psicoterapia Sistemico-Relazionale presso l'Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma. Tra le altre attività di cui mi occupo, svolgo principalmente la libera professione come Psicoterapeuta individuale, di coppia e familiare. Da diverso tempo ormai, mi occupo prevalentemente di terapie con pazienti vittime di rapporti di coppia abusanti, vittime di abuso narcisistico e dipendenze affettive. Conduco gruppi di auto-aiuto sull'elaborazione del lutto, sulla gestione dell'ansia e di sostegno alla genitorialità, anche nei casi di separazione e divorzio. Collaboro con il "Gruppo Ictus Emiplegia Onlus" per il sostegno psicologico a pazienti colpiti da ictus ed anche alle loro famiglie. Realizzo corsi di formazione e di preparazione all'esame di stato per studenti laureandi e neo laureati in Psicologia in collaborazione con strutture ed enti accreditati.

Un pensiero riguardo “Vittimizzazione Secondaria e Victim blaming: quando si è vittime due volte.

  1. Vivo in questa situazione da tanti anni e venivo già da una relazione dolorosa.Ho fatto psicoterapia di coppia ed è stato detto che lui soffre di disturbo narcisistico di personalità ma quando ho chiesto di aiutarmi ad essere creduta ..niente..dipendo economica mente da lui che mi sottopone a silenzio alternato a grida mi sottopone ad astinenza sessuale da sempre( lui è impotente) mi mette i miei fratelli contro…non ho nessuno solo mia figlia mi sostiene.Piango molto soffro di ansia e lui invece o ride o fa la vittima.Mi bestemmia addosso è un inferno non ho più energie..ho 56 anni e una vita che vorrei vivere.Mi perdoni lo sfogo.Grazie bellissimo articolo.

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